Una delle chiacchiere più famose sul Giappone ed in particolare su Tokyo è che le strade non hanno nome né numero civico e quindi è impossibile trovare qualsiasi luogo. In verità, questa cosa degli indirizzi fantasma non è affatto un luogo comune o una leggenda metropolitana, è proprio così.
L’avevo sentito dire tante volte prima di partire per il nostro viaggio, ma sinceramente mi sembrava un aspetto folkloristico, divertente, una di quelle cose pazze e strane che è bello affrontare durante un’esperienza in un paese straniero così lontano e diverso dal nostro.
Ho deciso di scrivere questo post dopo che tanti amici in partenza per il Giappone ci chiedevano con un misto di apprensione ed incredulità sempre le stesse due domande: “Oh ma è vero che a Tokyo le strade non hanno i nomi?” e di fronte alla nostra risposta affermativa: “Ma allora come fai?” A dire il vero lo sgomento e la tensione aumenta quando cercano una soluzione chiedendo: “Ma almeno parlano inglese?” La risposta ovviamente è no e ne ho già accennato in questo post!
Tanta gente è andata in Giappone, ha affrontato questo problema ed è riuscita a fare tutto quello che voleva, però quest’aspetto degli indirizzi inesistenti continua a mandare in confusione tanti viaggiatori in partenza. Allora vi racconto come è andata la mia prima ricerca di un indirizzo giapponese, quello del nostro hotel.
Arriviamo all’aeroporto di Narita dopo 12 ore di viaggio, mezzi rincoglioniti dal fuso e dalla mancanza di sonno capiamo subito che qui nessuno capisce niente di quello che tentiamo di dire.
Abbastanza agilmente prendiamo due biglietti per il Narita Express e in 40 minuti siamo nella gigastazione di Shinjuku, una città sotterranea con decine di uscite indicate da cartelli dove si capisce solo il numero e l’indicazione geografica tipo South Exit. Noi sui punti cardinali siamo un po’ scarsi.
Premetto che per giorni, come mio solito, avevo studiato la mappa del quartiere di Shinjuku e avevo simulato il nostro itinerario della durata presunta di 15 minuti dall’uscita della stazione fino all’albergo. Avevo consumato la piantina cartacea della guida e mandato in tilt Google Maps per poter memorizzare il tutto sapendo che di nomi, numeri e indirizzi non ne avremmo trovati.
Dopo un’attenta valutazione e attingendo ai ricordi imbrocchiamo l’uscita giusta e appena salite le scale ci appare improvvisamente e in tutta la sua stranezza il Giappone. Che bellissimo shock!
Io non sono uno di quegli uomini orgogliosi che piuttosto che chiedere informazioni si perdono nelle paludi di Fantasia e quindi faccio tre passi ed entro subito nel primo negozietto di alimentari che trovo. “Good morning, information please!” semplifico in un inglese basico per evitare fraintendimenti. Sguardi vacui misti ad occhiate di terrore. I giapponesi vanno in grande sbatta di fronte a stranieri richiedenti informazioni, ma la loro cultura impone loro di essere cordiali e gentili e non sottrarsi alla richiesta d’aiuto.
In questo stallo culturale mi avvicino al commesso e gli sbatto davanti la mia dettagliatissima cartina. Peccato che non avevo pensato che è in inglese con caratteri incomprensibili ad un nipponico abituato a kanjii, hiragana e katakana. Lui prende la mappa e cerca di leggerla al contrario. Farguglia qualcosa e conclude faticosamente con un Solly. Deduco che dovrò chiedere a qualcun altro.
Camminiamo sempre più stanchi con le nostre valigie nella direzione che presumiamo sia quella giusta.
Entro in un altro negozio e questa volta provo con il nome dell’hotel senza dire altro “Shinjuku Listel Hotel?”. Vedono che siamo stranieri, capiscono la parola hotel e quindi almeno abbiamo posto le basi della nostra ricerca. Immagino che ci siano vari hotel, ma se un giapponese viene da me a Cesenatico e mi chiede “Hotel Annamaria?” io lo so dov’è, quindi vedrai che lo sanno anche loro. E invece no.
Ritento sarò più fortunato. E in effetti questa terza volta il malcapitato non ha idea di dove sia, ma almeno mi indirizza verso una direzione ben definita, non per forza quella giusta.
Io cammino con la cartina davanti alla faccia cercando di confrontare le curve delle strade nella mappa con quelle dell’asfalto. Mi viene in aiuto il vialone principale che, per qualche arcano motivo, ha un nome. Questa è un po’ la svolta perché la nostra via è la quarta a sinistra di questo stradone.
Sempre per evitare giri a vuoto richiedo per sicurezza ad un passante e poi ad un poliziotto, ma questo hotel o non esiste o è un posto orribile dove non va nessuno.
Mi sembra che ci siamo, ci infiliamo in una stradina laterale e dopo un ultimo falso allarme vediamo la rassicurante insegna che ci segnala il Listel. Non sembra neanche troppo male.
Trovato. Tempo impiegato 30 minuti, tempo necessario sapendo la strada 13.
Mentre siamo in Giappone scopriamo che ci sono tre trucchi per trovare un posto. Il primo è sicuramente chiedere a chiunque a costo di essere molesti. Il secondo è cercare dei gabbiotti agli angoli delle strade principali dove pseudo poliziotti sono lì apposta per darti informazioni, ma noi sti gabbiotti…non li abbiamo mai trovati. La terza e più utile è che in realtà c’è un sistema di indirizzi, o simile. Viene identificata la zona all’interno di un quartiere e poi invece di dare un nome alle strade si dà un numero ai palazzi, qualcosa di riconducibile – alla molto lontana – ai nostri numeri civici.
Ora, non posso garantirvi la veridicità di quest’ultima affermazione, ma in un paio di occasione per noi ha funzionato!
La morale di questo post è: niente panico, qualche incomprensione, tante risate e alla fine troverete tutto!
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