Uno dei tanti motivi per cui adoro viaggiare è che spesso ti trovi in situazioni complicate, inaspettate, scomode e talvolta addirittura fastidiose. Problemi che poi, si risolvono sempre e a posteriori diventano esilaranti storie da raccontare o semplici ricordi da custodire gelosamente.
Uno degli inghippi più comuni che il viaggiatore si trova ad affrontare è la barriera linguistica.
Si dà spesso per scontato che per viaggiare basta esprimersi in modo più o meno approssimativo utilizzando l’inglese, ma potrei citare in un attimo tantissimi paesi in cui l’idioma di Sua Maestà non solo non è conosciuto, ma neanche grezzamente masticato!
Non parliamo poi della pericolosa superficialità con cui si affrontano trasferte in terre iberico-sudamericane, dove si parte al grido di “Basta aggiungere una S alla fine di ogni parola”.
Nei miei vari viaggi ho sperimentato in prima persona tante situazioni in cui la comunicazione era a dir poco difficile, momenti di sconforto in cui solo un interprete professionista o un’agenzia di traduzioni avrebbero potuto salvarmi perché nemmeno al Tourist Office parlavano qualche lingua conosciuta. Tra le varie divertenti disavventure, è sicuramente l’Asia il continente che mi ha regalato i momenti più epici.
Ecco una mia personalissima classifica dei tre paesi dove è più divertente perdersi nei meandri di un alfabeto sconosciuto.
India
Comincio con il sub continente perché, data la lunga colonizzazione britannica, ero partito con grande serenità e fiducia. La realtà è che gli indiani sono esuberanti, spumeggianti, simpatici, invadenti, fanno di tutto per farsi capire, ma pochi parlano un inglese comprensibile, molti biascicano quattro parole. In più, il loro accento che io amo alla follia, rende tutto incredibilmente più complicato.
Ciliegina sulla torta, di fronte al dubbio e all’incomprensione, un indiano ripeterà la fine della tua domanda quindi devi sempre fare la controprova.
Esempio.
Domanda: “Is the train station open?” Risposta: “Open”
E allora provo: “Is the train station closed?" Risposta: “Closed”
Disperato gioco il jolly: “The train station…Open or Closed?” Risposta: “Open or Closed”
Ok, vado in autobus!
Giappone
I giapponesi sono tra i miei preferiti e ancora oggi spesso ricordo episodi da sganasciarsi dalla risate. La lingua nipponica è composta da tre alfabeti, decine di ideogrammi e una logica completamente diversa dalla nostra quindi è normale che con gli idiomi occidentali abbiano difficoltà e l’inglese non fa eccezione.
La loro cultura però impone di essere gentili e cortesi e quindi, davanti ad una domanda, cercheranno sempre di aiutarti fino a trovare una soluzione, il che genera spesso incomprensioni a profusione. Al di là di buffi episodi, la cosa che più mi ha infastidito prima e divertito poi, è che loro ti parlano e ti danno indicazioni – orali e scritte!! – in giapponese come se tu fossi madrelingua. Non cercano l’aiuto dei gesti, di disegni o di che cavolo ne so, loro parlano imperterriti. La mia strategia è stata di fare lo stesso. Alle persone che mi parlavano a mille ideogrammi al secondo ho cominciato a rispondere in dialetto romagnolo e, francamente, ci siamo intesi molto bene soprattutto – o forse solamente – nella fase finale di saluto!
Bangladesh
Dopo l’India non ho imparato nulla e sono andato in Bangladesh convinto che, bene o male…l’inglese lo masticano. Bene, i bengalesi sono il popolo più incredibile, fantastico, magico e autentico del mondo, ma non parlano altro che il bengalese. Punto. Due ore dopo il mio atterraggio a Dhaka, mi sono ritrovato ad un matrimonio islamico – devo assolutamente scrivere un post su questo, ma è troppo bello merita un momento tutto suo – in uno sperduto villaggio di campagna dove nessuno parlava una parola di inglese tranne il ragazzo che mi aveva invitato che ne parlava forse 40.
Ho passato due giorni indimenticabili, a tratti faticosi, ma veramente stupendi dove ho imparato le basi per la sopravvivenza “Come stai?” “Buono” “Amico” “Riso” “Acqua” etc..
Un altro esempio. A Chittagong dovevo fare un visto per andare in una regione ad ingresso controllato e l’ufficio preposto era nascosto all’interno di un mega edificio figlio di abusi edilizi. Nessuno, nessuno riusciva a capire me e nemmeno il foglietto scritto da una guida in bengalese che mostravo con gran fiducia.
Sono riuscito ad arrivarci solo perché l’unico motivo per cui uno straniero poteva essere lì era per andare in quell’ ufficio e quindi la gente prima mi guardava stupita e poi mi dava indicazioni con le mani, come fossero tanti cartelli stradali mobili!
Cina, Brasile, Mozambico e anche alcuni quartieri di Palermo dove parlano un dialetto così stretto che neanche mia moglie – una local – capisce. La lista di luoghi che mi hanno regalato grandi soddisfazioni, risate e incomprensioni linguistiche è varia e articolata e spero di allungarla presto con altri episodi.
Un consiglio.
Non abbiate mai paura di avere problemi con la lingua, sforzatevi di imparare qualche parola e siate pronti ad accogliere l’imprevisto come una piacevole sorpresa!
in giappone la famiglia dove ero ospitata era ormai convinta che mio padre fosse un famoso cartografo di cartine dell'Italia per il semplice fatto che io dissi "mio padre produce chiiiizu italiano" (ho allungato troppo la I) laddove chizu è formaggio (cosa che appunto mio padre fa) mentre chiiiiiizu è cartina/mappa. Non mi sono mai presa la briga di rispiegarglielo. :)
Ahahaha bellissimo anedotto! Per Natale potresti regalargli una cartina del Giappone fatta da tuo babbo!
Ahahahah Fra mi hai fatto troppo ridere! Durante la vacanza in Sri Lanka mi sono ritrovata nella tua stessa situazione dell'India ;) È vero che rispondono con le finali delle frasi ^_^
Possibel! :-D