Ai margini del deserto del Thar, sorge Jaisalmer la più piccola perla del Rajasthan circondata da terra arida e nascosta dalla polvere e dalle sabbie dell’India rurale. La città d’oro è uno scrigno magico, un nugolo di edifici bassi e appiattiti tutti dipinti di un colore giallo ocra che, sotto i raggi del sole, pare luccicare come il più nobile dei metalli.
Ancor prima di partire per l’India, Jaisalmer era la città che desideravo visitare. Io sono attratto da tutto ciò che è remoto, lontano, immerso nella natura e povero di uomini. La città d’oro è la più lontana da raggiungere tra le meraviglie del Rajasthan, devi allungare il percorso e non ci capiti per caso. E’ piccola, raccolta, tranquilla. Si respira un’aria di frontiera, quel tipo di atmosfera affascinante, ma difficile da spiegare concretamente.
Jaisalmer mi è entrata nel cuore e ha sbaragliato la concorrenza di tutte le altre colorate città del Rajasthan.
A Jaipur ho trovato il rosa e il caos, a Jodphur il blu e l’alba magica sul Forte Mehrangarh, qui ho trovato l’oro e la spensieratezza di gironzolare per le stradine del centro, contrattare i prezzi ad ogni bancarella e poi riposarsi sul tetto di un ristorante ammirando il panorama.
Rispetto alle altre città di questa regione, a Jaisalmer regna una relativa calma. La città è a misura di camminata, tutto il centro si gira a piedi, non ci sono veicoli impazziti da schivare né elefanti e mucche da scansare e anche i venditori sono meno coriacei e invadenti che altrove (che non vuol dire che non lo siano!).
Uno dei momenti più divertenti è stato dedicarmi ad uno shopping attivo alla ricerca di una borsa di pelle. Molto diverso dallo shopping passivo in cui giri a casaccio e per sfinimento finisci per comprare qualcosa da qualche mercante esasperante!
Dunque. Alla ricerca di una borsa, perché è un prodotto tipico, ne avevo viste di belle e la qualità – in realtà non ne capisco nulla – mi sembrava ottima.
Dopo un po’ di curiosare tra vari negozietti fingendomi disinteressato – tattica imparata in anni di viaggi, ma mai funzionante – mentre con la coda dell’occhio sono alla ricerca di prezzi, entro in una bottega di un artigiano che con un sorriso simpatico e sincero comincia a descrivermi la sua mercanzia. Prezzi, modelli, caratteristiche. Insomma, il solito.
Il tizio è gentile e piacevole, mi pare il posto giusto per approfondire il discorso.
Vistomi interessato il negoziante mi invita a sedermi, mi offre un ottimo chai e continuiamo a chiacchierare come vecchi amici. In particolare, mi spiega che tutti fingono di vendere pelle di cammello, ma in realtà è troppo dura e non va bene quindi nulla di esotico, qui si usa solo pelle di capra. Un po’ mi dispiaccio pensando a quanto avrei potuto fare il figo con la mia borsa di cammello, ma insomma… pazienza.
Tracolla, 24 ore, formato weekend, ce ne sono troppe. Finalmente trovo una borsa bellissima di pelle scura con una forma rotondeggiante e gli interni di velluto – o forse poliuretano, ma mi piace pensare al velluto – verdi. Meraviglia.
Partendo da un prezzo assurdo cominciamo un divertente botta e risposta e con calma e un altro po’ di chai, arriviamo a chiudere per il corrispettivo di 13 euro.
“You happy, me happy?” Si caro amico negoziante direi di si.
Siamo veramente entrambi soddisfatti e questo è buono. Mi sento di aver pagato il giusto prezzo, di non essermi fatto fregare, ma neanche di aver tirato come un aguzzino.
Concluso l’affare e scambiato il vil denaro, lui mi spiega che bisogna trattare la pelle con olio d’oliva almeno una volta l’anno e, così facendo, la pelle sarà bella in eterno o quasi. Sapientemente lucida il mio prossimo acquisto con un ettolitro di olio locale. La borsa ora sembra un salmone tanto è lucida e scivolosa, ma mi assicura che l’olio verrà assorbito in poco tempo.
Il mio nuovo amico è veramente una bella persona e allora continuiamo a chiacchierare. Mi racconta che ha un contatto in Irlanda e uno in Scozia per importare le sue borse e io, visto i prezzi, gli chiedo il biglietto da visita perché forse non sarebbe male vendere queste meraviglie anche in Italia.
Esco felice dal suo negozio. Non tanto o non solo per l’acquisto, ma soprattutto per l’incontro e per aver passato un pezzettino di pomeriggio a contatto con la cultura e la spontaneità dell’India.
Torno in albergo. La borsa è meravigliosa, ma puzza come un cammello o una capra insomma. Vabè passerà.
Dopo 4 giorni torno a casa. Apro lo zainone, puzza di brutto. Vabè passerà.
La borsa è bellissima, si intona perfettamente con un paio di scarpe che ho e comincio ad usarla per i miei viaggi di lavoro o weekend. Ma puzza tremendamente e a tratti mi vergogno. La gente ammira la mia meraviglia e ai più intimi faccio notare il tanfo. Per tutta risposta oltre a qualche scherno, mi sento dire che “Non capisci nulla è il normale odore della pelle, significa che è vera pelle”
Ah beh allora… dai bene, no?
Sono passati 9 anni dal quel giorno, oggi la borsa è come nuova, la uso di rado e per ora è nascosta dentro ad un trolley in cantina. L’altro giorno avevo bisogno di una valigia, sono sceso in cantina e ho aperto quel trolley.
Sarà vera pelle, ma l’odore di cammello, pardon capra è ancora lì.
Non importa amico negoziante di Jaisalmer! Questa borsa la porto nel cuore così come il nostro pomeriggio al profumo di ovino e di chai!